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Recensioni "

COPERTINAPresentazione dell’ autrice

Questa è una storia d’ amore, amore per la vita. E’ il racconto di due genitori che sentono il desiderio di parlare del loro ritorno alla luce. Una luce che irradia dai loro occhi sereni, senza urgenza di essere spiegata perché già chiara ed eloquente. Una luce penetrante, intensa come intenso, pungente, acuto e incolmabile è il vuoto che può lasciare una figlia quando parte. Ma è anche un’ occasione di riflessione universale, una riflessione aperta dentro e fuori ciascuno di noi. Ci si interroga sul senso della vita, tra etica laica e morale cristiana. A una corrente di agnosticismo, relativismo e amoralità, si contrappongono sentimenti autentici di ricerca della verità ontologica, segnati però e talvolta contaminati, da esigenze mediatiche e commerciali. E così, pur rimanendo quello della morte un problema oggettivo, esso viene da una parte generalmente rimosso dalla coscienza, mentre dall’ altra, mediaticamente proposto e morbosamente cercato. Si parla oggi molto di Medjugorje. Interi talk-show in cui gli uni alzano la voce sugli altri, tentando di far prevalere la propria argomentazione. Il confine diviene assai labile, troppo labile. Credo allora sia importante riflettere su questo confine. Parlarne con prudenza e con rispetto, confrontarsi con reciproci e dialettici contributi. Senza presunzione di voler avvalorare alcuna tesi. Nella consapevole umiltà di un percorso che ognuno di noi, più o meno consapevolmente, cerca. Un percorso di speranza e di sofferenza che Valentina ha fatto, seguendo nell’ azzurro del cielo, quella che lei ha descritto come una croce grigia sopra la Madre con le braccia aperte. In quel messaggio di sofferenza arrivato al suo cuore silenzioso, ha visto la certezza di una promessa di tenerezza e maternità infinite. Ha guardato verso il cielo. Un cielo che le ha riempito il cuore. Il cielo di Medjugorje. Ha guardato oltre. E qui resta il vuoto. Un vuoto, dicevo… lasciato da una figlia quando parte. Parte a ventisette anni per una meta sconosciuta. Non per un master o un dottorato, forse per un viaggio premio verso traguardi che sfuggono ai nostri progetti. E si resta inermi, impotenti nella propria debolezza, indifesi nella percezione di un cosmo nel quale ne’ lo spazio ne’ il tempo ci appartengono più. Il tempo, una dimensione ormai totalizzante ma svuotata, priva della relatività e delle relazioni, protesa oltre se stessa, fuori dal tempo stesso verso l’ infinito. Tutto manca. Le forme, i colori, i profumi, le espressioni, i suoni, gli attimi, i giorni, i mesi, gli anni…Gli anni cosa sono in fondo, se non un treno pieno di bagagli, vagoni legati l’ uno all’ altro dai cui finestrini sporgono tracce dei nostri vissuti: giocattoli, sonagli colorati, mollette per capelli, bambole, quaderni, barattoli di nutella, trucchi con lustrini, calze, scarpe per danzare e musica, tanta musica fatta di voci e suoni a noi familiari. E’ di questa voce che vogliamo raccontare, perché il nostro è un racconto senza alcuna pretesa di dimostrare nulla. E’ il desiderio di comunicare a chi abbia piacere o necessità di ascoltare, quanto smisurato, immenso e interminabile sia il respiro della vita. Un respiro impercettibile, fino a quando non si siano raggiunti l’ affinamento e la sensibilità indispensabili, per mettersi nella condizione di ascolto vero, di attesa dell’ Infinito. Una domanda tra le labbra dei genitori : - Perché a me? Perché il privilegio di questa grazia? – Una risposta: “ Forse la nostra debolezza, il senso di solitudine, i rimpianti, sono diventati una preghiera. Una preghiera che ha commosso il Padre. Siamo fortemente convinti che questo filo diretto con Valentina, non sia esclusivamente riservato a noi come grazia. Crediamo siano messaggi d’amore che tutti dovrebbero conoscere, perché credeteci, non c’è gioia più grande di avere la certezza che la vita non finisce qui. Valentina ha voluto che noi raccontassimo questo amore infinito attraverso le pagine di un libro. Lo ha affidato alla delicata sensibilità di una penna che lei ha preso per mano sullo scrittoio del grande libro della vita.”Una penna che ha raccolto testimonianze verbali, registrazioni vocali, forti emozioni. Una penna che ha scelto di non pensare, soprattutto di non giudicare. Semplicemente di raccontare.

Maria Collina

RECENSIONI

In una delle pagine più toccanti del libro ci si chiede cosa rimane della progettualità di una giovane vita quando la dimensione del tempo che più gli appartiene, il futuro, le viene privata; quando la malattia la spoglia di tutte le speranze, di tutti gli abbellimenti e, mostrandosi nella sua crudezza, le restituisce la tremenda verità che la vita non è in suo potere, che non le è immediatamente disponibile. Nella malattia, l’uomo è chiamato alla responsabilità di “dotare di senso” la propria sofferenza. Perché, quando non ci sono strade per aggirare il dolore, l’unica strada è quella che lo attraversa. Mi viene in mente un bellissimo paragone letto nell’opera di P. Robb “L’enigma Caravaggio”: “la sua oscurità non nasconde: mostra”; come il cielo plumbeo permette l’apparire dei colori dell’arcobaleno, così anche il dolore non nasconde mostra. Questo libro, allora, ci insegna come un atto di Amore (o chiamatela Fede, se siete credenti) possa rendere “accettabile” la morte di un figlio la cui esistenza avrebbe garantito la nostra speranza di “sopravvivenza ”. Avrebbe garantito il permanere della nostra identità in un altro da noi. Ci insegna l’accettazione di uno strazio, di un dolore contro natura e ci sorprende proprio perché capace di inventare un senso, un valore anche a ciò che sembra definitivamente privare ogni valore all’esistenza umana, ci insegna come dal buio del dolore sia arrivata una luce, dal silenzio atroce della perdita di senso si sia percepita una musica che ha trasformato il deserto esistenziale del lutto in un giardino di serenità. Ci insegna che lo scacco del pensiero dell’uomo può trovare conforto nella preghiera, nella fede in un Assoluto che non è soltanto un principio logico, ma che è Assoluto Amore e che non può togliere una gioia se non per donarne una più grande. Ci rassicura dicendo che tutto muore tranne l’amore, tranne il bene della vita, un respiro impercettibile che proprio il silenzio rende possibile ascoltare, a cui proprio il vuoto esistenziale fa spazio. Un silenzio in cui l’amore che ritorna, il pensiero vivo di Dio, si adatta alle nostre capacità di comprensione e si fa sentire. Un silenzio nel quale dal finito, dal precario, dal mortale, dal limite nasce un infinito assoluto: perché, quando sfiniti ci abbandoniamo, quando ci lasciamo accarezzare dall’Amore Assoluto, attraverso la resa e l’accettazione si rivela il Mistero e la sofferenza viene contagiata da una certezza, la certezza appagante che la morte non è la fine, ma rinascita, che l’amore ritorna e questa volta è chi resta il cucciolo, che si rifugia nelle braccia piene di luce di chi ormai conosce la strada che porta all’eternità.

Annamaria Laurano

L’AMORE VINCE LA MORTE

Il nuovo libro di Maria Collina, insegnante e scrittrice ascolana, narra la vicenda di Valentina, una ragazza morta a 27 anni. L’autrice non vuole avvalorare una tesi o dimostrare una teoria, ma raccontare, perché è la parola che cura, salva e fa amare. Vuol dare voce ai “due genitori che sentono il desiderio di parlare del loro ritorno alla luce… Una luce penetrante, intensa come intenso, pungente, acuto e incolmabile è il vuoto che può lasciare una figlia quando parte”. Dunque “un’occasione di riflessione universale, una riflessione aperta dentro e fuori di noi”. Valentina vive una vita serena, piena di impegni, ama la musica, la danza, ma in particolare il ballo, che ben presto diviene la sua attività principale. Ha un fratello che l’adora, tanti amici, che spesso porta a casa, un fidanzato più giovane di lei, “con cui [ha] fin dall’inizio un’affinità particolare” e con cui ballerà l’ultima bachata. All’improvviso, mentre i genitori stanno celebrando i primi 25 anni di matrimonio, la bufera, la sciagura, la croce si abbattono su questa famiglia unita e felice. Iniziano le visite mediche, i ricoveri nei vari ospedali di Ascoli, dell’Aquila, di Roma, di Verona, fino al terribile verdetto: neoplasia a livello cerebrale. “E’ mattino. Ma è già notte fonda; di un buio impenetrabile”. Certo il dolore è immenso, ma - ricorda il padre – “appena arrivati ad Ascoli, io e mia moglie sentimmo un irrefrenabile, sfrenato, incontenibile desiderio di pregare”. La preghiera percorre tutto il libro. Certo una preghiera di domanda per la guarigione della figlia, con la lettura della Bibbia e del Vangelo, con la recita del Rosario, l’intercessione di Padre Pio, la devozione dello scapolare della Madonna e un viaggio della speranza a Medjugorje, ma soprattutto una preghiera di ringraziamento per avere avuto una figlia eccezionale, con un sorriso “travolgente, corposo, pieno e traboccante di smania”. Con una croce così pesante da portare, “quando ogni speranza si è persa nell’oblio, dopo aver tanto gridato al cielo di risparmiare il nostro amore, Gesù ci ha teso la mano strappandoci alle tenebre, portandosi alla luce. Oh DIO il tuo amore è grande e immenso, ci hai donato il tuo amore e con esso Valentina”. Nasce così un dialogo sempre più diretto, più intimo e il funerale nel Duomo, con tante luci, tanti amici, le parole toccanti di Padre Paolo, diventa “una grande festa”. Sì, perché “ci stai guardando, sei vicina e suggerisci ai nostri cuori di non piangere”. Tutto è raccontato con grande sensibilità e con accenti di vera poesia. “Una preghiera che ha commosso il Padre”, perché tutto è “ormai assorbito nell’incanto di Dio”.

 

Maria Collina, In braccio a mia figlia, Ascoli Piceno, Edizioni Lìbrati, 2010, pp. 125, € 12,00.

 

Luciano Luciani

 

UN ROMANZO SHOCK

Un romanzo shock quello che inaspettatamente mi sono ritrovata tra le mani, uno di quei racconti tra la realtà e il sogno, tra terra e cielo, in una dimensione dichiaratamente d’oltre, in cui il corpo, la materia, i muscoli sono tirati fino allo spasimo, ma lo spirito sa librarsi con le ali di un processo medianico che ha del trascendente. Il romanzo ha la forza dirompente di un pugno nello stomaco.Di primo acchito calamita l’attenzione del lettore per quel fascino strano, ineludibile che avverte una simbiosi potentissima tra madre e figlia. Un legame soprannaturale, in cui l’aspetto metafisico della ragione interiore ha il sopravvento su ogni altro riferimento. In questo racconto autobiografico, in ogni modo, vissuto attraverso una simbiosi d’amore condivisibile a tal punto da fare vivere all’autrice quasi lo sdoppiamento d’anima che non conosce defezioni, vi è molto di più. Vi riposano le componenti verbali, stilistiche e strutturali di una penna che sa trovare termini adatti, accezioni linguistiche che perfettamente si attagliano alla verità atroce del verdetto, al dolore lancinante e cupo di due genitori che si vedono strappata in un soffio la figlia adorata. Brandelli di fede inesauribile, particelle di misericordia e di pietà divine che intravediamo nella preghiera prima, e nell’accettazione dopo; il conforto più dignitoso dal loro punto di vista, tanto da diventare caposaldo di una rassegnazione prodigiosa, quasi ai limiti della pacatezza, dell’atarassia (che potrebbe apparire un paradosso), ma è tale il contatto umano con la figlia prediletta, da non fargliela apparire perduta, anzi, tutt’altro diremmo...È una lezione di vita memorabile, un processo di smaterializzazione progressivo, del quale non mi era dato di leggere mai prima d’ora. Maria Collina ha saputo dipanare la trama del romanzo, interpretare da par suo, un concetto metafisico difficile e fortemente complesso dal lato della concezione laica, perché s’intersecano e si avviluppano sensazioni e spasmi altalenanti: prima, durante e dopo la malattia si snoda tutta la gamma delle emozioni, dei silenzi, delle parole non pronunciate, ma vissuti attraverso gli occhi, le labbra, i sensi quasi più intimi di quelli attraversati dal tormento e dal processo verbale.L’autrice descrive con riferimenti chiari e ben dosati queste suggestioni, queste sensazioni, nello sforzo immane di uscire dalla palude del dubbio che li lacera e li confonde. Il linguaggio è piano, duttile, fruibile, ogni tassello al suo posto, ogni emozione o sussulto, fibrillazione o ansia sedati attraverso il filtro della dignità e del coraggio. La descrizione delle varianti: abbandono, delusione, esaltazione, speranza, sono descritti in modo efficace, con una levità di fondo tale da addolcire e rendere meno drammatico ogni dettaglio. L’autrice narra con evidente emozione ogni traccia vivibile di questo calvario umano, lo fa con discrezione, con dovizia di particolari, con riservatezza, senza alterare i limiti della complessa vicenda, senza esasperare  o divaricare gli estremi vita-morte che sono di grande e innato pudore, filtrati attraverso un supporto psicologico di grande impatto, che sa lenire la pena, redimerla, fin quasi a fonderla in una redenzione ultima che la renda “pagina d’infinito”. In maniera superba descrive ogni dettaglio; ineccepibile il modus di condurre la scrittura da parte di Maria Collina, la quale sa rendere il dolore estraniante, emarginato dal quotidiano, quasi ai margini, sconfitto. “In braccio a mia figlia” titolo eccellente, per indicare la crescita spirituale di un tragitto terreno fatto di dolore, in cui però, l’infinito è l’eterno senza fine; l’Amore di Dio è dono misericordioso di una fede che vede Oltre il confine del dubbio, oltre il suo margine temporale, oltre lo strappo definitivo della morte.
 

Ninnj Di Stefano Busà

 

Maria Collina, In braccio a mia figlia, Ascoli Piceno, Edizioni Lìbrati, 2010, pp. 125, € 12,00.

Prendi le mie mani

In braccio a mia figlia

Divina commedia

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